Ristrutturazione o nuova costruzione? Palazzo Spada traccia una linea più stretta
Published on 13th November 2025
Con decisione n. 834 del 4 novembre 2025, il Consiglio di Stato, Sez. II, interpreta la nozione di ristrutturazione, come definita nel testo vigente di cui all'art. 3, D.P.R. n. 380/2001, modificato dal D.L. 76/2020 (cd Decreto Semplificazioni), con importanti novità (e scostamenti) dalla lettera della legge e dalle precedenti conclusioni della giurisprudenza amministrativa
La sentenza dopo aver ricostruito la ratio e l'evoluzione dell'art.3, D.P.R. n. 380/2001 in punto di ristrutturazione ricostruttiva, ovvero di demolizione e ricostruzione, afferma che la norma vigente è "innegabilmente caratterizzata da un progressivo allontanamento dell'obbligo originario della fedele ricostruzione, mediante l'eliminazione di vari vincoli e conseguente estensione della nozione di 'ristrutturazione, rendendo ancor più necessario un chiarimento sui suoi confini rispetto alla 'nuova'''".
Per i Giudici di Palazzo Spada il chiarimento atteso non è legislativo, ma è interpretativo e giurisprudenziale.
Invero, pur riconoscendo che il legislatore ha progressivamente ampliato la nozione di ristrutturazione, la sentenza prende le distanze dalla lettera della legge e dalla voluntas legis, oggettivamente ricavabile dalle modifiche apportate all'art. 3, D.P.R. n. 380/2001, così come evidenziate dai lavori parlamentari (in particolare, dalla relazione illustrativa al Senato) e dalla circolare congiunta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la pubblica amministrazione, arrivando a definire una diversa nozione di ristrutturazione, fondata su una "esegesi rispettosa della lettera e della logica della disposizione" in commento.
La ristrutturazione edilizia, a detta del Consiglio di Stato, richiede l'esistenza di una continuità tra il demolito e ricostruito. Ma alla luce della norma che non la prevede detta continuità non può essere pretesa in termini assoluti, come vorrebbe invece la giurisprudenza penale.
In particolare, a detta del Consiglio di Stato, la continuità si fonda su una trilite di condizioni:
- l'unicità dell'edificio oggetto di intervento, dovendosi ritenere precluso l'accorpamento di volumi espressi da manufatti diversi, ovvero il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione;
- la contestualità temporale tra la demolizione e la ricostruzione, per cui deve configurarsi una "unitarietà" dell'intervento prospettato nel senso che demolizione e ricostruzione devono essere autorizzate dallo stesso titolo edilizio;
- la neutralità dell'impatto sul territorio, per cui gli interventi di ristrutturazione edilizia escludono tutte quelle opere che comportino una trasformazione ulteriore a quella dell'immobile demolito e che non siano meramente funzionali al riuso del volume fisico.
Si tratta di condizioni e presupposti non previsti dalla lettera e dalla voluntas legislativa alla base dell'art.3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/2001.
Non solo.
Le statuizioni del Consiglio di Stato sono anche in contrasto con la diversa decisione dello scorso giugno del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (ossia di un organo di giustizia amministrativa avente pari autorevolezza della Sezione del Consiglio di Stato di cui alla decisione in commento), secondo cui alla luce della novella legislativa del D.L. n. 76/2020, rispetto alla vigente definizione di ristrutturazione di cui all'art. 3, D.P.R. n. 380/2001 l'elemento distintivo della nuova ristrutturazione edilizia è il riuso del territorio già edificato e urbanizzato, per cui la ristrutturazione presuppone la demolizione di un preesistente manufatto, mentre la nuova costruzione si configura alla stregua di una categoria residuale, comprendente gli interventi non riconducibili in altre casistiche e, quindi, anche l'attività edificatoria del tutto autonoma e indipendente da eventuali preesistenti edifici da demolire.
Commento Osborne Clarke
Ne escono rafforzate l'interpretazione restrittiva alla base della nota inchiesta avviata dalla Procura di Milano e dei procedimenti penali pendenti, ma anche la buona fede di chi sulle previsioni normative e sulle diverse interpretazioni giurisprudenziali ha legittimamente riposto affidamento. La stessa decisione fotografa un quadro normativo e giurisprudenziale disallineato, che legittima l’affidamento e la buona fede di operatori e amministrazioni.
È ora prevedibile che quella in commento non sia la battuta finale, ma che la questione - oggetto di numerosi contenziosi pendenti – sia deferita alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, specificamente deputata alla risoluzione dei contrasti giurisprudenziali (ex art. 99, D.Lgs. n. 104/2010).
Nel frattempo, il confine ristrutturazione e nuova costruzione – nevralgico per la rigenerazione urbana – rimane stretto tra interpretazioni restrittive e incertezze applicative.
Il risultato è un freno agli investimenti e alla trasformazione sostenibile delle città. Da qui l’urgenza di un intervento legislativo che armonizzi definizioni e titoli, fissando regole chiare e uniformi per sbloccare i cantieri della trasformazione sostenibile delle città.