I requisiti di forma negli accordi di ristrutturazione dei debiti

Osborne Clarke, con un team composto dagli avvocati Filippo Canepa, Maurizio Zonca e Cristina Ubertis Albano, ha recentemente assistito una società leader nel mercato della ristorazione commerciale al pubblico e collettiva nella redazione e nel successivo procedimento per la richiesta di omologazione di un Accordo di Ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis L.F. ("AdR"), perfezionato con i due principali istituti di credito coinvolti, nonché con oltre 165 fornitori.

Il piano posto alla base dell'AdR, avente ad oggetto un debito di circa 40 milioni di Euro, prevede il soddisfacimento di tutti i creditori, aderenti e non, in tempi brevissimi, anche grazie alle ingenti somme messe a disposizione, in caso di omologa, dalla proprietà, oltre che dalle risorse generate dalla cessione dell'azienda, con oltre 1.000 dipendenti, intervenuta nel corso della procedura di (pre)concordato preventivo precedentemente avviata dalla società debitrice e poi oggetto di rinuncia.

Nello specifico, la società debitrice ha concluso l'accordo con i due principali creditori finanziari con scrittura privata autenticata da notaio, mentre gli accordi conclusi con i numerosi fornitori sono stati perfezionati – anche in considerazione del brevissimo tempo concesso dal Tribunale nell'ambito della procedura di (pre)concordato preventivo (poco più di 10 giorni effettivi) e tenuto conto delle pesanti restrizioni vigenti in quel momento per contenere la diffusione della pandemia da Covid-19 (pressoché tutte le Regioni erano nella c.d. "zona rossa") – mediante scambio di proposta ed accettazione a mezzo PEC, per poi essere depositati in atti notarili e pubblicati nel Registro delle Imprese, unitamente alla relazione del professionista attestatore.

Ciò sul presupposto che l’art. 182-bis L.F. non fa – in nessuna sua parte – alcun riferimento alla necessità che la sottoscrizione degli aderenti all’accordo debba essere oggetto di autenticata notarile, né vi è alcun obbligo specifico in tal senso nella Legge Notarile, che determina esattamente gli atti che necessitano di tale certificazione.

E del resto, come evidenziato dalla più autorevole dottrina, la natura privatistica dell’accordo (l'AdR è un contratto che si perfeziona per effetto del consenso, con le modalità previste dall’art. 1326 c.c., sostanzialmente riconducibili alla conoscenza dell’accettazione da parte di chi ha fatto la proposta) e l’intento semplificatorio della procedura si pongono in netto conflitto con la richiesta di specifici requisiti formali, che appunto la legge non prevede.

Sul punto, anche la giurisprudenza che ha avuto modo di soffermarsi con attenzione sul tema dell’autentica delle firme, in un caso peraltro identico a quello che ci occupa, ha avuto occasione di precisare che: “Sebbene la sottoscrizione degli aderenti non sia stata autenticata in tutti i casi da un pubblico ufficiale fidefacente, (solo nell’accordo intercorso con gli Istituti di credito la sottoscrizione è stata autenticata da un notaio), così come ritenuto necessario in altre pronunce giurisprudenziali edite (si vedano, ad es., Trib. Udine, 22 giugno 2007 e Trib. Bari, 21 novembre 2005) non v’è motivo di dubitare della genuinità del consenso prestato dai sottoscrittori. In primo luogo la sottoscrizione dell’accordo risulta effettuata quanto agli altri creditori, dal legale rappresentante della società creditrice che ha aderito all’accordo, adesione risultante dall’invio della dichiarazione con comunicazione telematica attraverso posta certificata della società- PEC; in secondo luogo, nessuna opposizione è stata proposta nel termine previsto dalla legge, al fine di fare valere eventuali vizi del consenso. Non è inutile evidenziare che l’art. 182 bis l.f. non fa alcun riferimento alla necessità che la sottoscrizione degli aderenti all’accordo sia autenticata; peraltro, il Conservatore del Registro delle imprese non ha sollevato alcuna obiezione al riguardo” (Trib. Ancona, 20 marzo 2014; ulteriori spunti vengono offerti da Trib. Rimini, 27 giugno 2019, Trib. Bergamo, 13 febbraio 2019 e  Trib. Benevento, 30 gennaio 2019).

I (pre) Commissari Giudiziali della procedura concordataria rinunciata hanno tuttavia rilevato, inter alia, che a loro avviso il semplice deposito in atti notarili degli accordi con i fornitori eseguito dalla società, a differenza della sottoscrizione dell’accordo avanti al notaio, non avrebbe garantito la veridicità degli assensi alla ristrutturazione al fine di assicurare l’effettivo raggiungimento delle maggioranze previste dall’art. 182-bis L.F., mancando l’attività di verifica sull’autenticità delle sottoscrizioni e sui poteri di firma, e che, in ogni caso, l'omologazione dell'accordo avrebbe potuto essere pregiudizievole per l'interesse dei creditori rispetto all'alternativa fallimentare.

Per tale ragione la società debitrice, oltre a contestare tutto quanto affermato dai (pre) Commissari, ha depositato le dichiarazioni nel frattempo pervenute a mezzo PEC da quasi tutti i fornitori aderenti, con i quali gli stessi (in alcuni casi sotto forma di atto ricognitivo con autentica notarile), allegando visura camerale e fotocopia del documento di identità del sottoscrittore, hanno: (i) dichiarato e confermato di aver personalmente sottoscritto per accettazione, in persona del legale rappresentate minuto degli occorrenti poteri, la proposta di AdR ricevuta dalla società a mezzo PEC e (ii) riconosciuto e attestato la conformità delle copie scansionate delle suddette accettazioni agli originali dai medesimi sottoscritti e pubblicati nel Registro delle Imprese.

Il Tribunale di Monza, tuttavia, pur senza nulla contestare in punto di veridicità dei dati aziendali ed attuabilità dell'accordo e sebbene nessun creditore avesse fatto opposizione, ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di omologa dell’AdR ritenendo che la forma prescelta per la conclusione degli accordi con i fornitori “non sia assolutamente adeguata, dovendo essa avvenire mediante atto ricevuto da Notaio” e ciò “Tanto non per vincolo di forma che sia richiesta da norma alcuna”, ma in quanto non sarebbe sufficiente a assolvere alle esigenze di “certezza in merito alla conclusione stessa degli accordi con i creditori”, e, con separata sentenza, a fronte dell'istanza di fallimento nel frattempo presentata dal pubblico ministero, ha dichiarato il fallimento della società.

Entrambi i suddetti provvedimenti sono stati oggetto di reclamo ex artt. 18 e 182-bis, co. 5, L.F. avanti alla Corte d'Appello di Milano, la quale, con sentenza n. 144/2022 del 14 gennaio 2022, in accoglimento del reclamo presentato dalla società debitrice, ha revocato la dichiarazione di fallimento rimettendo gli atti al Tribunale di Monza per l'omologazione dell'AdR.

In particolare, la Corte d'Appello, non condividendo le conclusioni del Tribunale, ha escluso la sussistenza di elementi concreti per ritenere che l’originario accordo firmato dai creditori e perfezionato a mezzo scambio di proposta e accettazione via PEC, poi versato in atti notarili e pubblicato nel Registro delle Imprese, non fosse genuino o fosse diverso da quello poi richiamato e confermato dagli stessi creditori, tanto più che nessuna opposizione era stata presentata ex art. 182-bis, co. 4, L.F., precisando che "il requisito della forma notarile, pur non essendo previsto dalla legge, può avere una sua ragionevolezza nella misura in cui ha una funzione di garanzia della genuinità del consenso prestato dai creditori ovvero, trattandosi di società, dai soggetti titolari del potere di firma, e pare alla Corte che su tale genuinità, nel caso concreto, non siano emersi dubbi".

La pronuncia della Corte d'Appello rappresenta, dunque, un importante precedente in quanto, da un lato, ribadisce la natura privatistica degli AdR e, dall'altro lato, delinea in modo chiaro i limiti del sindacato del Tribunale in sede di omologa degli stessi.

Quanto al primo punto, la Corte riconosce che la procedura per l'omologa dell’AdR è sostanzialmente snella, priva di termini perentori e non caratterizzata da preclusioni rigide, tanto che non sono previsti un procedimento o un provvedimento di apertura, né la nomina di alcun organo della procedura (quali Commissario Giudiziale, Amministratore giudiziale, Giudice Delegato o Comitato dei Creditori) ed il Tribunale assume la decisione con un provvedimento de plano sull’istanza di omologazione, senza previa necessità di instaurazione di contraddittorio. Per tale motivo, dal punto di vista formale, per il perfezionamento dell'AdR può essere ritenuta pienamente valida non solo la "tradizionale" sottoscrizione con autentica notarile, ma anche la forma della scrittura privata con i singoli creditori, tramite scambio a mezzo PEC di proposta ed accettazione, purché gli stessi vengano poi fatti oggetto di pubblicazione nel Registro delle Imprese (sola ed unica formalità richiesta dalla legge).

Quanto al secondo punto, chiarisce che, in mancanza di opposizioni da parte di creditori estranei o di terzi interessati, il controllo giudiziale in merito alle condizioni di omologabilità degli AdR si deve limitare ad un accertamento circa la regolarità formale e conformità alle disposizioni di legge del procedimento, non essendo prevista una valutazione di attuabilità ulteriore rispetto a quella contenuta nella relazione del professionista attestatore. Resta quindi precluso (quanto meno in assenza di opposizioni) lo svolgimento di un controllo che investa la convenienza economica dell’accordo per i creditori, in quanto gli aderenti, nell’ambito dell’autonomia privata che l’ordinamento riconosce loro, hanno già valutato tale soluzione come per loro preferibile, mentre per i creditori rimasti estranei è sufficiente che l’accordo garantisca la loro integrale soddisfazione.

Preso atto della sentenza della Corte d'Appello, il Tribunale di Monza ha omologato l'AdR con decreto del 9-23 febbraio 2022.
 

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