The Built Environment

Le difformità edilizie e il loro impatto sulla commerciabilità degli immobili

Published on 16th Feb 2023

In caso di compravendita di un immobile è fondamentale verificare la conformità edilizia dello stesso, intesa quale la corretta corrispondenza tra lo stato di fatto e il titolo abilitativo con cui è stato realizzato o modificato.

Construction building and crane

L'art. 46 del dal D.P.R. n. 380 del 2001¹ (di seguito, "Testo Unico dell'Edilizia" o "TUE") dispone che: "gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria".

A norma dell'art. 47 del medesimo TUE: "Il ricevimento e l’autenticazione da parte dei notai di atti nulli previsti dagli articoli 46 e 30 e non convalidabili costituisce violazione dell’articolo 28 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, e successive modificazioni, e comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge medesima".

Come già più sinteticamente illustrato nel precedente insight Acquisto di un immobile urbanisticamente difforme: rischi e prassi, i più recenti orientamenti giurisprudenziali considerano valido l'atto di compravendita laddove lo stesso riporti la prescritta dichiarazione dei titoli in virtù del quale l'immobile compravenduto sia stato edificato o successivamente modificato, anche ove l'edificato sia difforme da quanto autorizzato tramite i predetti titoli edilizi.

In particolare, con la sentenza a Sezioni Unite n. 8230 del 2019 (recentissimamente confermata con sentenza Cass. Sez II, n. 30425 del 17 ottobre 2022) la Corte di Cassazione, ha affermato che la nullità comminata dall'articolo 46 del TUE e dall'articolo 40, comma 2, della Legge n. 47 del 1985 deve qualificarsi come nullità "testuale" (ossia prescritta da specifiche norme di legge e quindi riconducibile all'art. 1418, comma 3, c.c).

Pertanto, l’atto di trasferimento di diritti reali relativi a edifici abusivi è valido in presenza di una dichiarazione veritiera in ordine all'esistenza dei titoli abilitativi effettivamente riferibili all'immobile compravenduto, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata rispetto ai titoli stessi.

Prima della pronuncia delle Sezioni Unite, si era riscontrato un vivace dibattito dottrinale caratterizzato da difformi orientamenti giurisprudenziali che ha visto confrontarsi due teorie in radicale contrapposizione.

La teoria cd. "formalistica"

Una prima teoria cd. "formalistica" affermava che l'atto fosse da ritenere senz'altro valido in presenza della prescritta dichiarazione (ancorché non veritiera), e, invece, nullo in caso di sua omissione, anche in presenza di validi titoli abilitativi (salva, in quest'ultimo caso, la possibilità di sanare la nullità, espressamente prevista dal comma 4 dello stesso citato articolo 46 TUE, anche con dichiarazione unilaterale integrativa dell'atto da parte del solo acquirente).

Tale teoria, da un lato faceva leva sulla formulazione letterale della norma, e dall'altro, riteneva, su un piano sistematico, che il legislatore avesse voluto con la medesima imporre un esplicito, e per l'appunto formale, obbligo di informazione a scopo di garanzia 

contrattuale a carico del venditore. La repressione e la prevenzione all'abusivismo edilizio erano considerate finalità indirette e secondarie.

A supporto di quanto sopra vi sono numerosi precedenti giurisprudenziali e autorevoli posizioni dottrinali².

La teoria cd. "sostanzialistica"

Alla teoria "formalistica" si contrapponeva la teoria cd. "sostanzialistica", la quale individuava nella repressione all'abusivismo edilizio la finalità primaria della norma, da cui faceva discendere la nullità dell'atto recante una dichiarazione di conformità non rispondente al vero.

Anche tale teoria aveva trovato autorevoli riscontri sia giurisprudenziali che dottrinali³.

Inoltre, alla teoria sostanzialistica si ispiravano altresì i numerosi studi del notariato⁴ che hanno, poi, trovato riscontro nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, nonché una consolidata prassi dei notai nel rifiutare la stipula di atti in presenza di difformità note di natura sostanziale (per es. realizzazione di superfici o volumetrie non assentite dai titoli edilizi rilasciati in relazione all'immobile). Tale ultimo aspetto riveste ovviamente una particolare importanza per gli operatori coinvolti in operazioni di compravendita immobiliare.

Pare interessante, per trovare degli spunti che possano guidare gli operatori nella prassi delle operazioni di compravendita, approfondire il tema legato alla classificazione delle difformità edilizie operata dalla normativa in materia, al fine di individuare le conseguenze circa la commerciabilità dell'immobile alla luce dei citati orientamenti giurisprudenziali e/o delle prassi notarili.

I cd. «abusi maggiori»: interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali

I cd. «abusi maggiori» rappresentano la categoria di abusi più grave e sono disciplinati dagli articoli 31 e 32 del TUE. La suddetta categoria ricomprende: (i) le opere edilizie realizzate in assenza di permesso di costruire, (ii) gli interventi effettuati in totale difformità rispetto agli interventi autorizzati dal permesso di costruire stesso e (iii) gli interventi realizzati in variazione essenziale rispetto al progetto approvato tramite il permesso di costruire originario, senza quindi l'ottenimento di un nuovo permesso.

In particolare, l'articolo 31 del TUE definisce gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire come quelli che comportano: (i) la realizzazione di un organismo edilizio 

integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche (ovvero nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi) o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso (la destinazione d’uso derivante dai caratteri fisici dell’organismo edilizio stesso), ovvero (ii) l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile (quindi, integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi).

L'articolo 32 del TUE tratta della determinazione delle variazioni essenziali rispetto al progetto approvato. Questo caso è parificato agli interventi realizzati in assenza o totale difformità rispetto al permesso di costruire. Si ha variazione essenziale in caso di: (a) mutamento di destinazione d’uso che implichi variazione degli standard previsti dal D.M. 2 aprile 1968; (b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; (c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; (d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentite; (e) violazione della normativa edilizia antisismica. Pertanto, l'ottenimento di un nuovo permesso di costruire è propedeutico alla realizzazione di variazioni essenziali rispetto al progetto approvato tramite permesso di costruire.

I cd. «abusi minori»: la difformità parziale

Dall'altro lato abbiamo i cd. «abusi minori», che si verificano a seguito di interventi costruttivi realizzati con modalità diverse rispetto a quelle previste e autorizzate, ma che incidono su elementi particolari e non essenziali. Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2325 del 1° giugno 2016, viene ribadita la nozione di difformità parziale, la quale si riscontra con riferimento alle opere che non comportano una snaturazione del progetto originario autorizzato dal titolo, ma che comunque costituiscono attività costruttive parzialmente differenti rispetto a quanto autorizzato dal titolo medesimo.

L’art. 34 del TUE, nel prevedere, al secondo comma, che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione», è chiaro nel comminare la sanzione pecuniaria, in luogo di un provvedimento demolitorio in caso di abusi edilizi, solo in presenza di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire.

Le novità introdotte dal D.L. 76/2020; le c.d. "tolleranze costruttive" e le "tolleranze esecutive"

L'entità dei vizi edilizi è stata di recente soggetta a nuova analisi da parte del Legislatore che, con la modifica del TUE, ha normato una particolare figura di difformità edilizia considerata irrilevante ai fini edilizi, ossia le tolleranze costruttive, disciplinate dall’art. 34-bis del TUE nel testo introdotto ex novo dal D.L. 76/2020. In particolare, detta norma stabilisce che non costituiscono violazioni edilizie:

  • il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari, se contenuto entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo (cd. tolleranze costruttive);
  • limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ex D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile (cd. tolleranze esecutive).

Con la modifica apportata dal D.L. 76/2020, mediante l’introduzione del nuovo art. 34-bis TUE, si è inteso salvaguardare l'interesse pubblico alla celere circolazione dei beni, consentendo il recupero e la rigenerazione edilizia di immobili che presentano discordanze meramente formali rispetto agli elaborati progettuali autorizzati. Infatti, le ipotesi di tolleranza di cui al comma 2 dell’art. 34-bis TUE riguardano i frequentissimi casi di difformità dal titolo edilizio che non violano alcuna normativa di piano o di legge. In tali ipotesi, rispetto all'opera rappresentata negli elaborati allegati al titolo edilizio, lo stato di fatto evidenzia difformità irrilevanti, ad esempio, inter alia, poiché non incidono sulle strutture portanti dell'edificio, o non comportano aumenti di superficie e non violano alcuna normativa tecnica, ma riguardano, ad esempio, gli angoli non perfettamente in squadra o le murature non perfettamente allineate, le aperture interne non corrispondenti al progetto, ecc.. Il presupposto per considerare tali difformità come tolleranze esecutive è dunque che detti scostamenti non comportino una violazione della disciplina dell'attività edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile. Si tratta, pertanto, di trascurabili difformità, formali e non sostanziali, che avrebbero potuto essere già regolarizzate all'epoca della realizzazione dell'edificio con una mera presentazione di una variante di fine lavori. Tali, quindi, da non escludere lo “stato legittimo” del fabbricato e da non incidere né sulla possibilità di presentare nuovi progetti edilizi né sulla sua commerciabilità. Pertanto, in caso di irregolarità diverse dalla assenza del titolo o dalla totale difformità, il bene è comunque commerciabile (a prescindere dall’avvenuta presentazione o meno della richiesta di sanatoria) e il contratto di vendita è valido, ma il venditore non è esente da responsabilità.

Infine, il comma 3 dell'art. 34-bis TUE appare anch'esso di particolare rilievo in quanto chiarisce che le difformità costruttive o esecutive descritte dei commi precedenti non rappresentano un abuso edilizio. Le stesse devono essere oggetto di una dichiarazione da parte di un tecnico ai fini di dimostrare lo stato legittimo dell’immobile, in prospettiva di un nuovo intervento edilizio, ovvero di un atto dispositivo dell'immobile stesso (e.g. alienazione, donazione, etc.). Pertanto, il tecnico abilitato predispone un’apposita dichiarazione asseverata sullo “stato legittimo” del fabbricato da produrre unitamente alle nuove istanze volte ad ottenere il titolo edilizio, ovvero, da allegare agli atti notarili di trasferimento o divisionali. Tale dichiarazione asseverata ha lo scopo di facilitare i trasferimenti immobiliari in una serie di casi in cui vi siano incertezze circa la regolarità edilizia dell’immobile oggetto di disposizione, rappresentando l’atto avente la funzione di attestare tale regolarità.

L'acquisto di un immobile affetto da difformità edilizie alla luce dei principi enunciati dalle SS.UU. della Corte di Cassazione

Alla luce dei principi guida enunciati Sezioni Unite n. 8230 del 2019, è pacifica la nullità dell'atto di compravendita laddove le opere edilizie siano state realizzate in assenza di permesso di costruire, vista in tal caso l’impossibilità di rendere in atto una dichiarazione veritiera circa l'esistenza del titolo effettivamente riferibile all'immobile compravenduto.

A tale fattispecie è verosimilmente da equipararsi, a tutti gli effetti, quella della totale difformità (tant’è che le due fattispecie sono assoggettate alle stesse sanzioni amministrative e penali), poiché - nel caso della costruzione eseguita in totale difformità rispetto al titolo (cioè senza alcun collegamento tra quanto 

realizzato e quanto in concreto autorizzato dal Comune) - si può pacificamente affermare che non sia mai stato rilasciato un titolo che giustifichi quanto realizzato. Quindi, anche nel caso della totale difformità tra il realizzato e l'autorizzato mancherebbe uno dei requisiti richiesti dalla Corte di Cassazione per la validità del contratto: non sarebbe infatti possibile indicare in atto gli estremi di un titolo edilizio reale e riferibile all’immobile compravenduto.

Tuttavia, non tutti gli abusi maggiori sembrano determinare, sulla base di una lettura letterale, l'incommerciabilità dell'immobile: infatti, in presenza di una delle variazioni essenziali di cui all’art. 32 del TUE, laddove l'atto di compravendita rechi la prescritta dichiarazione di conformità, si può affermare, in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite, che esso sia comunque valido.

Infatti, nel caso di variazioni essenziali, il titolo esiste ed è riferibile all'immobile negoziato: vi sono esclusivamente state delle variazioni apportate all’immobile rispetto a quanto autorizzato dal titolo edilizio stesso. La Corte di Cassazione è giunta a precisare che: "la distinzione in termini di variazioni essenziali e non essenziali, […], non è pertanto utile al fine di definire l'ambito della nullità del contratto, tenuto conto, peraltro, che la moltiplicazione dei titoli abilitativi, […], previsti in riferimento all'attività edilizia da eseguire (minuziosamente indicata), comporterebbe, […], un sistema sostanzialmente indeterminato, affidato a graduazioni di irregolarità urbanistica di concreta difficile identificazione ed, in definitiva, inammissibilmente affidato all'arbitrio dell'interprete. Il che mal si concilia con le esigenze di salvaguardia della sicurezza e della certezza del traffico giuridico […]".

Nulla quaestio, infine, circa la validità degli atti recanti la prescritta dichiarazione in cui siano stati riscontrati (i) "abusi minori" (di cui all'art. 34 del TUE) o - a maggior ragione – (ii) difformità rientranti tra le tolleranze costruttive ed esecutive (di cui al D.L. 76/2020).

Alla luce dei principi guida enunciati dalle SS.UU. con la citata sentenza del 2019, secondo un'interpretazione letterale:
Assenza di titolo edilizio  =
nullità del contratto
Totale difformità  = nullità del contratto
Variazione essenziale  = contratto valido
Abusi minori e tolleranze  = contratto valido
L'acquisto di un immobile affetto da difformità edilizie: la prevalenza di un approccio "sostanzialistico" anche a valle della sentenza delle SS.UU. del 2019

A dispetto della presa di posizione delle citate sentenze a Sezioni Unite del 2019 e della Sez. II del 2022, nella prassi delle compravendite immobiliari si registra un notevole ampliamento dei casi in cui la vendita sia condizionata alla presentazione da parte del venditore di SCIA in sanatoria (ove sia possibile) o riconducendo fisicamente a conformità l'immobile rispetto ai titoli rilasciati.

Ciò dipende sia dalla comprensibile esitazione dei notai a ricevere l'atto laddove siano note difformità sostanziali dell'edificato rispetto ai titoli assentiti, sia dal chiaro interesse dell'acquirente a non acquistare un immobile viziato da difformità sostanziali note.

Per meglio comprendere le ragioni di tale esitazione è molto utile lo Studio del Notariato pubblicato a valle della citata sentenza del 2019⁵.

Il documento prende atto dell'importanza dell'intervento delle SS.UU., volto finalmente a risolvere la contrapposizione tra opposti filoni giurisprudenziali, riconoscendone pienamente l'efficacia nel circoscrivere rigorosamente le ipotesi di nullità previste dalla norma.

L'autore poi esamina i titoli che devono necessariamente essere menzionati a pena di nullità e cioè, oltre al permesso di costruire primario (e sue varianti) in base al quale l'immobile è stato edificato, anche, in virtù dell’introduzione, nel 2002 dell'art. 46, comma 5bis, TUE (come successivamente modificato poi nel 2014 e del 2016):

  • i titoli abilitativi di ristrutturazioni c.d. “pesanti” ai sensi dell’art. 10, comma 1, del Testo Unico;
  • gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora disciplinati da piani attuativi comunque denominati; e
  • gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

Partendo dall'individuazione del novero dei titoli che necessariamente devono essere menzionati, l'autore dello studio ricostruisce sistematicamente le ipotesi in cui un titolo possa ritenersi "non riferibile" ad un dato immobile, ampliando significativamente la casistica rispetto a quanto si potrebbe immaginare dal tenore letterale della sentenza delle Sezioni Unite.

Riguardo al primo profilo lo studio giunge alla conclusione che il titolo possa ritenersi "non riferibile" anche quando, in estrema sintesi:

  • l'edificazione sia stata completata oltre i termini di decadenza del titolo, in assenza di proroga;
  • il titolo sia stato annullato, revocato o la sua efficacia sospesa (per effetto di provvedimenti giurisdizionali o in autotutela);
  • l'edificazione sia stata inibita per effetto di norme sopravvenute;
  • successivamente ai titoli noti e menzionati, siano stati effettuati interventi che avrebbero richiesto un titolo tra quelli da menzionare obbligatoriamente in atto;
  • siano state realizzate opere in difformità rispetto al titolo originario tali da assurgere ad autonome unità immobiliari (per esempio, una sopraelevazione non autorizzata);
  • siano state realizzate contestualmente o successivamente all'edificazione originaria opere con modifiche della volumetria complessiva o dei prospetti che portino ad un organismo in tutto o in parte diverso da quello assentito.
 
Pur muovendo quindi da una chiave interpretativa diversa, lo studio del notariato giunge alla conclusione
che non siano ricevibili atti in situazioni in cui siano note almeno talune delle difformità che, sulla base della
ricostruzione fatta precedentemente delle diverse categorie di gravità, rientrerebbero tra le "variazioni
essenziali".
 
Per concludere, quindi, pur non essendovi alcun dubbio che la sentenza delle SS.UU. abbia, anche
secondo un'interpretazione estensiva basata sul concetto di "riferibilità del titolo", innalzato la soglia di
rilevanza oltre la quale opera la sanzione di nullità e al di sotto della quale operano invece gli ordinari
rimedi contrattuali dell'acquirente (per la vendita di aliud pro alio ovvero per la vendita di cosa gravata da
pesi ed oneri o da vizi), nella prassi è comunque necessaria un'attenta ricognizione, e valutazione
caso per caso, di eventuali difformità.
 
Questo perché:
  • anche in presenza di talune variazioni essenziali potrebbe sempre porsi, in base alla ricostruzione di cui sopra, un tema di incommerciabilità dell'immobile e di nullità dell'atto di cessione;
  • gli illeciti edilizi e urbanistici hanno natura reale e permanente, il che espone l'avente causa al medesimo regime sanzionatorio che si applicherebbe al suo dante causa, senza limiti di tempo;
  • anche una volta che si sia giunti alla conclusione che talune difformità non siano tali da rendere l'immobile incommerciabile, l'acquirente che sia consapevole della loro esistenza non può fare affidamento sulle dichiarazioni rese dal venditore in atto e sui conseguenti rimedi di legge in caso di loro violazione. Giova infatti ricordare che ai sensi dell'art. 134 del TUE "qualora l'acquirente (…) dell'immobile riscontri difformità dalle norme del testo unico, anche non emerse da eventuali precedenti verifiche, deve farne denuncia al comune entro un anno dalla constatazione, a pena di decadenza dal diritto di risarcimento del danno da parte del committente o del proprietario".
 
Note
¹ Analoghe previsioni erano già contenute nella previgente L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40,
² Cass. n. 14804/2017; Cass. n. 16876/2013; Cass. n. 20714/2012; Cass. n. 27129/2006; Cass. n. 26970/2005; Cass. n. 5898/2004; Cass. n. 8147/2000; Cass. n. 5068/2001; Cass. n. 8147/2000; Cass. n. 8685/1999; Cass. n. 1199/1997; in dottrina: P. Zanelli, G. Alpa, A. Oriani, E. Marmocchi, G. Baralis, G. Morello
³ Cass. n. 23591/2013 seguita dalle successive: Cass. n. 28194/2013, Cass. n. 25811/2014, Cass. n. 18261/2015. In dottrina: A. Cataudella, A. Luminoso, V. Mariconda, O. Bottaro, G. Casu, A. Albanese.
⁴ CNN, Prime note sulla legge 28 febbraio 1985, n. 47; CNN, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 – Criteri applicativi, in CNN, Condono edilizio, Milano, 1999, 32; CNN, Studio n. 5389/C, Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili.
⁵ Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 84-2018/P "LE MENZIONI EDILIZIE ED URBANISTICHE IN TEMA DI CIRCOLAZIONE DI FABBRICATI".
 
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